A tutela della techne: nasce ARCAP, l’associazione dei funzionari restauratori-conservatori del Ministero della Cultura.

Nel mese di aprile di quest’anno si è costituita ARCAP, l’associazione dei Funzionari restauratori-conservatori del Ministero della Cultura. L’associazione nasce per promuovere la figura professionale del restauratore all’interno dell’Amministrazione e per difendere il lungo e faticoso percorso di crescita che negli ultimi decenni ha caratterizzato il settore, un processo che parte da lontano e che purtroppo viene ancora spesso negato.




Sono passati più di vent’anni da quando, il 22 ottobre del 1997, si riunirono a Pavia i massimi esperti europei nel settore della conservazione dei beni culturali per individuare gli standard qualitativi necessari a garantire la conservazione del patrimonio culturale collettivo. Da quell’incontro nacque il Documento di Pavia. L’atto sottolineava l’urgenza di definire con precisione le competenze specifiche di tutte le professionalità coinvolte nel processo conservativo, ma non lasciava alcun dubbio sulla centralità del ruolo del restauratore-conservatore in quel processo. “Considerando che la conservazione e il restauro di alto livello richiedono l’indifferibile riconoscimento dello status professionale del conservatore-restauratore a livello europeo”, si legge nel preambolo del documento che continua: “il conservatore-restauratore deve partecipare al processo decisionale fin dalla fase d’ideazione del progetto di conservazione e di restauro (…) e deve assumere le responsabilità derivanti dalle sue competenze”. Il Documento di Pavia individuava come priorità il riconoscimento del restauro come disciplina il cui insegnamento doveva svolgersi, per tutte le categorie di beni culturali, a livello universitario, con accesso al dottorato di ricerca. Nel 1998 un nuovo incontro organizzato a Vienna consentiva di approfondire meglio alcune delle tematiche emerse a Pavia e di produrre un nuovo documento, il cosiddetto Documento di Vienna. Oltre a sottolineare nuovamente l’importanza dell’individuazione delle diverse parti coinvolte nel processo conservativo e dei relativi ruoli, il Documento di Vienna faceva emergere, per la prima volta, l’idea che il percorso di definizione delle competenze professionali dei conservatori-restauratori dovesse essere guidato dalla professione medesima, e non da altre figure come era successo fino ad allora. Questa era una novità, i restauratori fino a quel momento erano sempre stati visti come dei semplici tecnici: il loro inquadramento professionale, le caratteristiche della loro formazione, le regole etiche relative al loro lavoro erano state, per anni, imposte dall’alto. Il riconoscimento dell’autonomia come presupposto fondamentale per la determinazione degli indirizzi etici e operativi della professione apriva nuovi scenari. Questa impostazione di ricerca ha avuto da allora grande seguito a livello europeo, ha portato alla produzione di diversi documenti e alla creazione di numerose reti e gruppi di lavoro come ENCoRE (European Network for Conservation-Restoration Education), che dal 2008 raccoglie tutte le massime istituzioni che si occupano di formazione nel campo della conservazione e del restauro del patrimonio culturale a livello europeo. Il contributo dell’Italia a questo processo subì però, a questo punto, un’improvvisa interruzione. Con il DM 87 del 26 maggio del 2009 venne recepita la direttiva europea che richiedeva l’inquadramento del percorso formativo dei restauratori a livello universitario, mentre con il DM 86 del 2009 vennero finalmente definite le attività caratterizzanti il profilo; in seguito il nostro paese sembra aver deciso di porsi ai margini di questa rivoluzione nel settore. Il paese dove è nata la teoria del restauro moderno e dove, in anticipo sui tempi, si è pensato di impartire l’insegnamento del restauro, ad alto livello, in istituti ad esso dedicati, ha rinunciato a partecipare al dibattito sull’evoluzione della figura professionale.

A pensarci bene, ripercorrendo un po’ la storia di questo settore in relazione all’evoluzione del mondo della cultura e dell’istruzione nel bel paese, la cosa non può più di tanto stupire. L’insegnamento del restauro in Italia, così come lo conosciamo oggi, nasce a Roma, presso l’Istituto Centrale per il Restauro; siamo in piena epoca fascista e il settore dell’istruzione è reduce dalla riforma Gentile, riforma dal forte carattere antidemocratico e classista. Quella pensata da Gentile era una scuola di tipo aristocratico, dedicata "ai migliori", non a tutti, e rigidamente suddivisa, a livello secondario, in un ramo classico-umanistico per i dirigenti e in un ramo professionale per il popolo e la classe lavoratrice. Le scienze naturali e la matematica erano messe in secondo piano, mentre le discipline tecniche, ad esse correlate, avevano una loro importanza solo a livello professionale. Se la diversificazione dei percorsi concepita dalla riforma Gentile ha indubbiamente avuto il merito di aver evidenziato l’immenso primato dell’Italia sulle altre nazioni in termini di patrimonio culturale, le implicazioni classiste hanno invece impedito, per molto tempo, il giusto riconoscimento del ruolo delle materie scientifiche e tecniche nell’attività di studio e conservazione del patrimonio. Echi di questo tipo di approccio sono ancora oggi molto presenti nella nostra cultura, basti pensare all’idea, tuttora molto diffusa nel pensare comune, che il liceo classico offra un livello di istruzione più alto rispetto agli altri licei, oltre a garantire maggiori possibilità per la futura riuscita professionale. Il mondo dell’Istruzione e della cultura in Italia sono rimasti fermi alla riforma Gentile? Forse sì, almeno per quanto riguarda la sopravvivenza di alcune marcate forme di gerarchia tra i saperi. Va da sé che il percorso formativo del restauratore-conservatore, in cui componente tecnico-scientifica è inevitabilmente molto presente, fatichi ad essere considerato “culturalmente” paritario rispetto agli altri percorsi di studio. Se la spinta alla crescita della figura professionale del restauratore deve venire dall’Europa probabilmente qualcosa che non va c’è, evidentemente da noi qualcosa impedisce questo processo. Forse il problema è il permanere dell’idea, profondamente radicata nel nostro paese, che la cura e la tutela del patrimonio debbano rimanere prerogativa e responsabilità esclusiva di alcune figure professionali, di una sorta di élite culturale, proprio come voleva la riforma Gentile. Va da sé che le altre figure specialistiche che ruotano intorno alla conservazione siano costrette ad esercitare il loro sapere in posizione di subordine, a servizio di, per accrescere il sapere di chi impone la propria centralità. L’idea di sviluppare un percorso di tutela integrata, in cui tutti gli attori coinvolti nel processo di conservazione possano e debbano dare il proprio contributo, al di là delle gerarchie tra saperi, con il solo fine ultimo di garantire la salvaguardia del patrimonio, grazie a dei percorsi ragionati e condivisi, non è per ora pensabile in Italia.

Ai Funzionari restauratori-conservatori in servizio presso il Ministero della Cultura questa cosa è molto chiara. Sono ormai vent’anni che la nostra figura professionale è stata inquadrata nell’organizzazione del Ministero nella terza area, l’area dei funzionari, quella per cui è previsto il maggior grado di autonomia tecnico-scientifica e decisionale, con assunzione diretta di responsabilità dei risultati eppure, lo viviamo tutti i giorni, di spazi di autonomia o anche sono di condivisione delle decisioni, alla pari con gli altri funzionari (storici dell’arte, architetti, archeologi, etc.), non ce ne sono molti per i restauratori, per non dire che non ce n’è nessuno. Si pensi ad esempio al fatto che nelle Soprintendenze e negli Istituti autonomi ancora non esiste un’area funzionale specifica per la conservazione e il restauro del patrimonio e che gli stessi dirigenti, spesso, non abbiano ben chiaro come debbano inserire in organico i funzionari restauratori, semplicemente perché la figura professionale non ha un ruolo definito nella macchina di tutela. Che i restauratori non possano avere un ruolo nel Ministero della Cultura che si occupa, per il 70% delle sue attività, di cura e conservazione del patrimonio è veramente un’assurdità. Escludendo dalla fase decisionale del processo conservativo coloro che sono in possesso delle competenze tecnico-scientifiche necessarie per fare alcune delle valutazioni richieste, si rischia di fare degli errori e di fare dei danni, spesso senza neanche rendersene conto.  Malgrado ci sia una normativa, anche se ancora molto povera e lacunosa, che definisce il ruolo e le competenze del restauratore-conservatore nelle attività di cura, conservazione e gestione dei beni culturali; a dispetto della  costante crescita del livello di formazione della figura professionale e nonostante le direttive europee in materia, la figura professionale del restauratore-conservatore continua a non riuscire ad ottenere il riconoscimento che meriterebbe e che dovrebbe porla, finalmente, sullo stesso piano delle altre figure professionali che si occupano di beni culturali.

È certamente arrivato il momento di prendere coscienza di questa situazione, bisogna ripartire dal documento di Vienna, diventare protagonisti nella definizione della nostra professione e delle nostre specifiche competenze, creare degli spazi di lavoro autonomo, che sono un nostro diritto ma  soprattutto un nostro dovere nei confronti del patrimonio che siamo chiamati a proteggere; dobbiamo riconoscere noi per primi l’esclusività delle nostre competenze tecniche, che qualcuno può provare ad annullare ma nessuno ha il potere di far scomparire. Per questo nasce ARCAP, l’associazione dei funzionari restauratori-conservatori del Ministero della Cultura, per unire le forze, per elaborare insieme un pensiero critico sulla storia della nostra professione, per creare un canale di partecipazione, ma soprattutto per pretendere che l’Amministrazione faccia uno sforzo affinché vengano riconosciuti il nostro ruolo e le nostre competenze all’interno dei processi di tutela del patrimonio, per cercare insieme una via verso un possibile cambiamento.

 

Associazione Restauratori Conservatori Amministrazione Pubblica (ARCAP)

Il Presidente, Silvia Massari

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